PROTAGONISTI 2 Aprile 2016
Colpo di Genius
Fanno cinquant’anni dalla nascita di Genius, “fotoromanzo nero per adulti” pubblicato da Furio Viano Editore
Mario Gomboli per l’occasione rievoca un paio di aneddoti legati alla pubblicazione della versione a fumetti della testata, uscita nel 1969
Il 2 e 3 aprile a Lucca in occasione di Collezionando, mostra mercato del fumetto da collezione, tra le altre cose si parla di Genius, una testata pubblicata nel 1966 a Milano da Furio Viano Editore. Genius è un epigono di Diabolik e propone una variazione sul tema dei “neri”, che proliferano in quegli anni in edicola, percorrendo la via del fotoromanzo, degli attori recitanti. Più che altro delle attrici scosciate che, in una lotta a scoprire quanti più centimetri quadrati di pelle possibile, si spera alzino di botto le vendite.
Tuttavia, nel 1969, il ciclo di Genius fotoromanzo volge già agli sgoccioli e Furio Viano decide allora di rilanciare “il marchio” affiancando al fotoromanzo anche un fumetto con il medesimo titolo. Si sa mai che incontri più delle fotografie… Viano chiede allora a Mario Gomboli che ha già collaborato con le sorelle Giussani se interessato a scrivere le sceneggiature del suo eroe in calzamaglia nera.
Gomboli, in quel momento ancora relativamente privo di vincoli editoriali, accetta e, anzi, suggerisce come disegnatore a Furio Viano un amico. L'amico in questione si chiama Maurilio, meglio noto come Milo, Manara. I due si sono conosciuti in quel periodo grazie ad amici “politicizzati”, per i quali Milo ha disegnato, tra le altre cose, un bellissimo poster a favore della lotta per la liberazione dell'Eritrea. È davvero bravo Manara, risente evidentemente dell'influenza di Crepax, ma mostra già una mano migliore di quella di tanti fumettisti dell'epoca. Purtroppo, fino ad allora esperienze di lavoro con i fumetti, zero. Allora Gomboli e amici decidono di dargli un “aiutino” e gli confezionano un curriculum di prim'ordine nel quale si attesta, tra l'altro, che le Giussani lo hanno già avuto tra i loro collaboratori; che ha lavorato anche con Carlo Peroni e Alfredo Castelli. Insomma un falso collettivo in piena regola per convincere Viano ad affidargli questo lavoro, che altrimenti difficilmente avrebbe dato a un giovane alle primissime armi. Andò quasi tutto liscio all'inizio e “Il morso della lupa” primo episodio di Genius fu consegnato a Viano. L'esordio di Manara nel mondo fumetto avvenne quindi all'insaputa del suo editore!
Il “quasi tutto liscio” si riferisce al fatto che in realtà, a parte il talento indiscutibile di Manara, i ritmi di lavoro del disegnatore richiedono a chiunque un po' di tempo per essere metabolizzati. Gomboli ricorda che, in quel periodo, Manara arrivava da Verona a Milano in treno. Di solito il venerdì. Lo ospitava in uno studio che aveva con altri amici in via Arco, al civico 4. Per dormire si adattava con il sacco a pelo sotto il tecnigrafo. Appena arrivato annunciava il programma per la fine settimana: “Ho fatto i conti, devo fare una tavola ogni tre ore per consegnare lunedì”. Generalmente la domenica pomeriggio era al punto in cui doveva finire una tavola ogni 20 minuti per cui, a quel punto, era costretto a telefonare o faceva telefonare da Gomboli a Viano per dirgli: “Guardi ho avuto un incidente in macchina”, o anche una supercazzola qualsiasi: “Sa, gli è morta una zia…” Insomma, era sempre in ritardo.
“Quando, mesi dopo, all'ennesimo ritardo, Manara, con il cappello in mano, confessò all'editore che aveva mentito spudoratamente anche sul suo curriculum”, ricorda ancora Gomboli, “Furio Viano mi fece una telefonata di quelle di fuoco e credo che, se anche poi ci siamo di nuovo incontrati, non mi abbia mai più salutato”. La carriera di Milo intanto si era felicemente avviata. Gomboli lasciò quasi subito Genius per collaborare più strettamente sia con Alfredo Castelli sia con le sorelle Giussani, tra l’altro totalmente all'oscuro del suo “tradimento”. D'altra parte negli episodi di Genius si era impegnato a concepire storie che in Diabolik non ci sarebbero mai potute essere, con il protagonista spostato in giro per il mondo, per esempio al Polo Nord o cose del genere.
C'è però un altro aneddoto relativo alle sceneggiature di Genius che merita di essere raccontato. La seconda storia ha una genesi che dovrebbe facilmente essere unica nella storia del fumetto italiano. Protagonista sempre Gomboli, sempre in quel 1969, ma stavolta insieme all'amico Giorgio Corbetta. Siamo ormai in agosto, alla vigilia delle agognate vacanze. Gomboli e Corbetta decidono di fare un viaggio in Grecia. Di quelli che si possono fare solo quando si hanno vent'anni, mancano un paio di anni alla laurea e la voglia di scoprire il mondo è seconda solo all'entusiasmo. “Mi raccomando fate i bravi, eh! E che non vi venga in mente di uscire dai confini della Grecia, eh!”. Ci si potrebbe scommettere che devono essere state di questo tenore le raccomandazioni un po' apprensive dei genitori di Gomboli, già avanti negli anni, e della mamma di Corbetta, da poco vedova. Naturalmente, girata un po' la Grecia, i due ragazzi decidono di proseguire verso est. Troppa la voglia di vedere che aria tira a Istanbul. Naturalmente senza dirlo ai genitori. Meglio non dare preoccupazioni. E le preoccupazioni invece le hanno loro, appena varcato il confine con la Turchia.
È il 10 agosto e al tramonto gli amici si trovano in viaggio verso la capitale turca con una Volkswagen carica di bagagli, tenda e attrezzature da campeggio. All'improvviso, un gruppo di persone attraversa la carreggiata della superstrada che stanno percorrendo e Corbetta, che è al volante, sterza bruscamente buttandosi sul lato. I due scendono subito per accertarsi se qualcuno si è ferito ma, senza neanche avere il tempo di aprire bocca, vengono immediatamente assaliti. Se la vedono davvero brutta. Volano calci, pugni; i due finiscono a terra e stanno per essere sopraffatti dal gruppo inferocito. Un linciaggio in piena regola. Poi, all'improvviso sopraggiunge e accosta un pulmino e ne esce un energumeno di oltre due metri d'altezza, largo quanto un armadio a due ante. Solleva di peso Gomboli che tra sé pensa: “è finita” ma, inaspettatamente, il gigante lo scaraventa nel pulmino dove già era riuscito a infilarsi, miracolosamente, Corbetta. In realtà, il gigante buono li ha sottratti alla furia degli assalitori e, una volta interrotto il pestaggio, li accompagna al più vicino posto di polizia. A distanza di anni Gomboli non ne rammenta il nome, ma ricorda bene che era un artista che si esibiva in un night di Istanbul in uno spettacolo di contorsionismo e che, dopo averli consegnati agli agenti turchi, li aveva anche invitati ad andare a vedere il suo spettacolo. Scene che non sfigurerebbero in un film di Fellini…
Dopo essere stati rattoppati da un medico, che sistema loro alla meno peggio labbra spaccate, denti ballerini e occhi tumefatti, i ragazzi scoprono che devono rimanere chiusi tutto il giorno in uno stanzone totalmente privo di arredi tranne qualche sedia sulle quali, di notte, si adattano a dormire. Tuttavia non sono formalmente agli arresti e i pasti a base di cous cous possono pagarseli e consumarli in una taverna lì vicino, nella quale vengono scortati da un paio di agenti con i quali, a gesti, si può anche ragionare. Ciò non toglie che, a causa di qualche strana incomprensione, le loro macchine fotografiche e altre cosucce spariscano lo stesso, misteriosamente. Per fortuna soldi e documenti li tengono sempre in tasca. Durante la “prigionia” monta l’ansia e, insieme, la noia. Gomboli, tra l’altro, non ha più gli occhiali, distrutti durante la colluttazione, ed è miope come una talpa. Ma non può stare con le mani in mano.
“Volevo procurarmi da scrivere per mandare una lettera a casa e poi per darmi da fare, tirare su un po' di soldi”, rievoca Mario. “Mi venne così in mente di scrivere una seconda sceneggiatura di Genius. Chiesi un quaderno e una biro. La carta arrivò subito, un quaderno scolastico a righe con carta giallastra di qualità ‘uso sedere’. Per la biro ci volle un po' più di tempo, anche perché “biro” in turco significa “birra” e in quel frangente mi scambiarono forse per un alcolizzato. Poi finalmente ci siamo capiti. Con la mia penna turca e il quadernetto giallo ho scritto una sceneggiatura completa – francamente potete immaginare di che qualità – che consegnai all'editore Furio Viano al ritorno in Italia. E me la pagarono mi sembra 100 mila lire, che all'epoca non erano neanche poche. Anche i disegni di questa seconda storia furono realizzati da Manara”.
Passata una lunghissima settimana, l’ambasciata si decide finalmente a mandare un interprete nel posto di polizia dove Gomboli e Corbetta sono trattenuti. Il loro “interprete” è in realtà un meccanico turco la cui unica qualifica è avere sposato una ragazza italiana, per cui il suo italiano è abbastanza approssimativo. Sufficiente però per apprendere, increduli, dal comandante della stazione il perché siano ancora trattenuti. Quando nell’incidente la macchina aveva scartato per evitare il gruppo dei pedoni, l’ultimo di questi si era chinato in avanti per schivarla ma il portabagagli l’aveva colpito in pieno capo: morto sul colpo. L'accusa che pendeva sulle loro teste era dunque di quelle pesanti: omicidio colposo. O magari peggio.
Appurato che non potevano fisicamente guidare la macchina contemporaneamente, il comandante è costretto a rilasciare Gomboli mentre Corbetta che era alla guida, viene trasferito in un carcere vero. E non un carcere qualsiasi. Si tratta della famigerata prigione di Saǧmalcilar, che nel 1978 l’intero mondo avrà il piacere di conoscere grazie al celebre film di Alan Parker, Fuga di mezzanotte, che è prodigo di crudi dettagli sulle delizie delle galere del Bosforo.
“Per sua fortuna Corbetta era rinchiuso in una sezione di detenuti per reati non gravi, mentre quelli della sezione droga – come si vede nel film – venivano realmente menati a sangue. Giorgio ricordava sempre che si sentivano in continuazione le urla”, dice Gomboli. Mentre Corbetta è in galera, Gomboli è ospitato in un collegio gestito da preti. Visto che la scuola è chiusa per le vacanze estive, può dormire in una cameretta da studente dove tutto è a misura di bambino, lettino compreso dal quale, di notte, spuntano clamorosamente fuori i piedi.
Dopo un po’ il fratello di Corbetta, ingegnere chimico con varie esperienze di lavoro all’estero e contatti anche in Turchia, riesce a sbloccare la situazione. Si trova un avvocato, Giorgio viene rilasciato in attesa di processo e Gomboli torna in Italia. Incassati i soldi della sceneggiatura di Genius, Gomboli sotto Natale torna a Istanbul sia per testimoniare al processo, sia per stare accanto all’amico Giorgio, che nel frattempo si era anche discretamente adattato, imparando un po’ la lingua, trovando un lavoro e perfino una ragazza. Per farla breve, il processo si celebrò a primavera e Corbetta fu condannato, ma per guida pericolosa e non per il più grave reato di omicidio colposo. La cauzione versata in attesa del processo per il rilascio, alla fine fu trasferita ai parenti della vittima come risarcimento. A marzo 1970 finalmente “la vacanza” è finita.
Okay, non sarà una storia avvincente come quella di Edmond Dantès e dell’abate Faria nel Conte di Montecristo, ma non credo che ci sia un altro sceneggiatore italiano che abbia impiegato così creativamente il proprio tempo mentre si trovava in stato di fermo. Comunque siamo qui, eventualmente, per farci smentire.
Cristiano Zacchino
Per le immagini dell'Allegato con tutte le copertine di Genius si ringrazia Luca Mencaroni, editore dei volumi Avventure Noir e Immaginario Sexy.