EDICOLA & DINTORNI  28 Gennaio 2018

Passione fotoromanzo

Raccontare per fotogrammi scattati e… disegnati

Alla fine degli anni Cinquanta, si moltiplicano le contaminazioni tra fumetto e divi del cinema e della neonata televisione, grazie al crogiolo comune del fotoromanzo, un’invenzione tutta italiana.

Passione fotoromanzo

Uno degli esempi più datati di fotoromanzo, forse il capostipite del genere, è Romanzo Film, fondato nel 1920 a Roma da Umberto Fracchia, scrittore e giornalista con all’attivo anche qualche regia cinematografica, peraltro di scarso successo. Romanzo Film pubblicava ogni quindici giorni le pellicole “più acclamate”, raccontandole con una sequenza di immagini.
Parallelamente, nei venti anni seguenti le testate per ragazzi, oltre a promuovere storie e personaggi a fumetti di nuova ideazione, avevano introdotto e diffuso anche la pratica del cosiddetto “cineromanzo”, ossia la riduzione di classici della letteratura in disegni accompagnati da didascalie.

Bolero Film n. 1, Periodici Mondadori, 1947Ma è solo con il Dopoguerra, e l’uscita, il 26 giugno 1946, del primo numero di Grand Hotel della Casa Editrice Universo che il fenomeno “fotoromanzo” esplode grazie a storie d’amore indirizzate a un pubblico di adulti, realizzate a mezzatinta con disegno realistico e con i volti dei protagonisti ricalcati su quelli dei divi del momento, da Silvana Mangano ad Amedeo Nazzari. Meno di un anno dopo (25 maggio 1947), Mondadori manda in edicola Bolero Film che alla mezzatinta sostituisce le riprese fotografiche dando vita alla fortunata era del fotoromanzo propriamente detto.

Interessante la parabola che segue la relazione tra fotoromanzo e cinema. Nei primi anni di scatti in pellicola sono soprattutto le aspiranti attrici ed attori che usano il fotoromanzo come un trampolino per Cinecittà. Memorabili, in questo senso, i fotoromanzi pubblicati a partire dal 1947 sul settimanale Sogno della Edizione Novissima, nei quali possiamo trovare nomi di starlette come Giana Loris e Sofia Lazzaro che diventeranno in seguito dive del grande schermo con i nomi di Gina Lollobrigida e Sofia Loren.

Le paghe degli attori sono divise per fasce a scalare. I protagonisti di un fotoromanzo guadagnano duemila lire per una giornata di lavoro, gli attori di secondo piano la metà, mentre per le semplici comparse la diaria è di cinquecento lire. La speranza di ciascuno, più che di arricchirsi, è di essere notato da qualche regista e di essere chiamato per qualche produzione filmata, magari anche solo come generico.

Nel 1949 Michelangelo Antonioni gira L’amorevole menzogna, un documentario di undici minuti per indagare su questo mondo; un settore editoriale che vale, all’epoca, 2 milioni di copie e 5 milioni di lettori. Il cortometraggio vince il premio Nastro d’Argento del 1950 come Miglior documentario.
Diffusione, realizzazione e successo di pubblico dei fotoromanzi sono raccontati attraverso la vicenda di due coppie di attori del genere: Sergio Raimondi (di professione meccanico) con Anna Vita e Sandro Roberti con Annie O’Hara (romana purosangue ma moglie di un cittadino americano). I quattro vengono seguiti sul set mentre posano per alcuni dei 500, 600 scatti necessari per realizzare un fotoromanzo.

Una giovane Sofia Loren, all'epoca Sofia Lazzaro, su Sogno, 1950La valutazione del regista sui fotoromanzi in fin dei conti è positiva poiché vede nello strumento un innocuo “svago a buon mercato” o anche un “cinematografo tascabile” per il pubblico “più umile”.
Al massimo si può cogliere una lieve ironia quando si afferma che questo tipo di giornali diventano anche una sorta di “consigliere sentimentale”, vista anche la gran quantità di lettere inviate alle redazioni in forma anonima da uomini e donne che si firmano con pseudonimi curiosi come “Soldatino triste” o “Baiadera stanca”. Questa è una lettera tipo del 1948 proveniente dalla Sardegna:

Egregio Signor Sergio Raimondi,
non potendo trattenere l’impulso del mio cuore vengo a lei con questi due righi. Lei, senza saperne, è l’autore di molte notti insonni per me. Vado a letto con la speranza di dormire ma lei, chiamato forse da un genio maligno, mi appare davanti e i suoi occhi belli sembrano dirmi: sognami, sognami bambina, anche questa è la felicità. Lei avrà senz’altro capito che è diventato il mio idolo...

Non delude neppure un esempio al maschile:

Signorina Annie,
la vostra ultima interpretazione mi è tanto piaciuta. Le vostre movenze di pantera, la vostra espressione delicata e fatale… Ma, ditemi: tutte le donne sanno dare ‘il bacio di Giuda’? Bisognerebbe guardarsi dalle donne come voi, che pensano solo all’amore e hanno sulle labbra il profumo delle magnolie. I vostri baci sono di sicuro avvelenati; ma che importa?

Locandina peLo Sceicco Bianco, di Federico Fellini con Alberto Sordi e Giulietta Masina, 1952.L’invito finale di Antonioni è quello di sorridere ma di non ridere di questi cuori semplici e conclude affermando che “ogni epoca ha i suoi eroi. La nostra ha gli eroi a fumetti”. Nel 1952 arriva invece una satira feroce del mondo dei fotoromanzi firmata da Federico Fellini. Lo sceicco bianco, mette in scena le disavventure di una sposina, interpretata da Giulietta Masina, che giunta nella capitale con il marito per un tour cittadino e una visita al Papa, scappa invece dall’albergo per andare a cercare il suo idolo, lo Sceicco Bianco, protagonista del suo fotoromanzo preferito. L’eroe arabeggiante è interpretato da Alberto Sordi e l’incontro tra i due segnerà per la donna una disillusione totale, marcata dallo scarto abissale esistente tra i sogni di carta e la becera realtà.

Per il fotoromanzo passano alcuni prosperi anni e, nel 1957, il rapporto con il cinema si è completamente ribaltato rispetto agli esordi. Se da un lato i grandi maestri della mezzatinta come Walter Molino continuano a “prendere in prestito” i volti delle grandi star per dipingere i loro intrecci amorosi, sono sempre più frequenti i casi in cui gli attori e i primi personaggi televisivi alimentano la loro popolarità con i fotoromanzi.

Lo fa notare, per esempio, il giornalista, documentarista e critico cinematografico Rolando Jotti, sul numero 119 di Cinema Nuovo, del 1° dicembre 1957, in un pezzo intitolato “L’amorosa menzogna del fumetto”, praticamente identico al titolo del corto di Antonioni.
Sulla rivista fondata nel 1952 da Guido Aristarco e che ha come nume tutelare Cesare Zavattini e faro culturale il pensiero di Antonio Gramsci, Jotti scrive che: “l’ambizione più grande dei fumetti, dei fotoromanzi, dei cineromanzi e anche dei racconti per immagini disegnate, è di rendere uno spettacolo cinematografico, un cinema in tono minore, con un soggettista, uno sceneggiatore, un operatore, un regista, e con ‘i divi’ conosciuti e amati da una massa popolare, costituita da operai e piccoli impiegati, da un popolo povero e una borghesia arricchita, con un’assoluta mancanza di preparazione culturale, attratta dal facile racconto per immagini, con poche parole di testo che escono dalla bocca dei protagonisti, evitando, così anche le indicazioni del dialogo; poche parole per soddisfare una pigrizia spirituale, per esaudire una intima aspirazione di cultura intesa solo come facile divertimento”.

Passata l’emergenza della prima ricostruzione, inizia a trasparire nel dibattito culturale una ben nota spocchia verso tutto ciò che è popolare, con quelle sottolineature di “assoluta mancanza di preparazione culturale”… E pensare che Rolando Jotti diventerà poi un cultore di un grandissimo scrittore popolare, Emilio Salgari, di cui curerà, per esempio, la mostra “La tigre di Verona: Emilio Salgari”, in occasione del Nono Salone Internazionale dei Comics e dei film di Animazione a Lucca, nel 1973.

L'amorosa menzogna del fumetto su Cinema Nuovo n. 119, dicembre 1957Come esempi di divi prestati al fotoromanzo, Jotti cita Enzo Tortora, uno dei giovani conduttori del quiz Telematch, secondo grande successo dei giochi a premi dopo Lascia o Raddoppia?, oppure navigati attori di teatro come Leonardo Cortese passati in seguito agli sceneggiati tv (Cortese diventerà poi anche regista, tra il 1968 e il 1972, di memorabili cicli di gialli dedicati al Tenente Sheridan); o ancora la bionda Mara Berni, attrice di commedie brillanti, che ottiene il grande successo dopo una decina di film con: Buonanotte… avvocato!, del 1955, al fianco di Alberto Sordi. Per trovare tutti assieme questi e altri protagonisti della pellicola e del tubo catodico bastava andare in edicola e comprare un Grand Hotel a caso come, per esempio, il n. 611 dell’8 marzo 1958.

Il lato un po’ in ombra del fotoromanzo per il grande pubblico è sempre stato, invece, la sua realizzazione tecnica. Oggigiorno si fa un gran parlare di concetti come realtà virtuale, realtà aumentata e non ci stupiamo più, neppure minimamente, di fronte a effetti video come il chroma key. Ebbene, già nell’epoca totalmente analogica del fotoromanzo esisteva qualcosa di simile: la mescolanza tra fotografie e disegno era lo strumento per sopperire alle difficoltà scenografiche e di ambientazione dei fotoromanzi. Un articolo del settimanale romano La Tribuna Illustrata dell’8 agosto 1948, intitolato “Silenzio, si scatta!”, mostra il dietro le quinte della realizzazione di un fotoromanzo.

Scatto in studio per un fotoromanzoe risulatato finale da La Tribuna Illustrata, 8 agosto, 1948Interni ed esterni”, vi si legge, “vengono scattati in un unico camerone su fondale bianco. Ricostruire salotti principeschi o mari in burrasca, intricate foreste oppure tramonti radiosi costituirebbe una gran perdita di tempo, ma soprattutto un notevole impiego di capitali. Ad evitare ciò è stato appunto escogitato il sistema del fondale bianco. Successivamente, sulla positiva della foto, un abile disegnatore crea gli sfondi, li anima di particolari, li rende vivi e reali con opportuni giuochi di luce. Il fotografo naturalmente, sotto la guida del regista, deve preoccuparsi di agevolare l’opera del ritoccatore curando, con piccoli trucchi, la prospettiva, il movimento dei personaggi, i diversi piani, la profondità...

Presentiamo nella galleria finale alcuni esempi che dimostrano la fantasia e l’improvvisazione necessarie per portare a termine il lavoro. Le foto dipinte e completate a mano con il testo delle battute venivano poi incollate su cartoni fotografati per la stampa. Un processo totalmente artigianale che, tuttavia, aveva una buona resa grafica, soprattutto grazie alla stampa in bianco e nero.

Per concludere bisogna ricordare che, inventato in Italia, il fotoromanzo trova immediatamente terreno fertile anche all’estero: in Spagna, Portogallo, Grecia, Turchia, Paesi del Magherb, Libano, Messico, Argentina, Brasile, ma soprattutto in Francia dove è l’editore Cino del Duca a ottenere i successi maggiori con la testata Nous Deux (1947), che ricalca la formula adottata da Grand Hotel, pubblicato dai suoi fratelli Alceo e Domenico. Nel 1954, all’apice del suo successo, Nous Deux vende un milione e mezzo di copie alla settimana ed è solo una delle numerose testate della “presse du cœur”, la stampa del cuore di cui Cino del Duca era il re incontrastato, tutte con spazi dedicati al fotoromanzo.

Satanik (in Italia Killing) n. 14, 1967A questo proposito, chi avesse la fortuna di frequentare Marsiglia in questi mesi potrebbe visitare la bella mostra “Roman-Photo”, dedicata al fotoromanzo e alla sua storia, ospitata dal MUCEM, il Museo delle Civilizzazioni dell’Europa e del Mediterraneo dal 13 dicembre 2017 al 23 aprile 2018. Oltre a una panoramica dei fotoromanzi francesi, offre per la prima volta alla visione pubblica molti materiali inediti della Fondazione Mondadori provenienti dagli archivi di Bolero e alcuni sguardi sugli usi non “convenzionali” del fotoromanzo.

Un intero percorso espositivo è dedicato al “fumetto” Killing, fotostorie del brivido (1966-1999) edito da Ponzoni Edtore a Milano ed esportato in Francia con il nome di Satanik (nulla a che vedere con la creatura di Max Bunker). Le sceneggiature sono di Rocco Molinari e Luigi Naviglio, mentre la regia dei fotoromanzi è di Rosario Borelli, che supervisiona gli scatti di Lorenzo Papi. La testata per i suoi contenuti sadico-erotici incorrerà nei rigori della censura, prima in Francia (1967) e poi in Italia, quando le pubblicazioni vengono bloccate con il numero 62 del marzo 1969.

Un’altra curiosità della mostra è il fotoromanzo satirico che trova spazio alla metà degli anni Sessanta su una rivista come Hara-Kiri. I fotoromanzi sono sceneggiati da Georges Wolinski o Gébé (Geoges Blondeaux), mentre gli “attori” sono l’umorista Georges Bernier, noto come Professor Choron e gli stessi membri della redazione. Nel 1969 la milanese EDIP pubblica nove numeri della versione nostrana con testata Kara Kiri. Non mancano esperimenti di fotoromanzi politici su Charlie Hebdo (1979-1980) e di “foto-fumetti” su Fluide Glacial a cura di Bruno Leandri e Marcel Gotlib.
Perfino la pornografia ha trovato spazio nei fotoromanzi. L’esperimento più famoso e di successo commerciale sono senz’altro i fotoromanzi di Supersex, interpretati dall’attore Gabriel Pontello tra gli anni Settanta e Ottanta. Una produzione nata in Olanda a cura della Eva Bauer Produzioni ma poi “traslocata” in Francia da dove ha raggiunto anche il mercato italiano.

Una formula quella del fotoromanzo, che in quarant’anni ha detto e trattato di tutto e che chissà, forse potrebbe avere ancora qualcosa da dire in futuro.

 

Cristiano Zacchino



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