FUMETTO! 150 ANNI 8 Ottobre 2015
I protagonisti: Umberto Eco
“Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese.”
Umberto Eco, nato ad Alessandria nel 1932, è probabilmente oggi l’intellettuale italiano più noto nel mondo, nella doppia veste di saggista e di romanziere.
L’interesse semiologico è implicitamente presente già nei suoi primi lavori degli anni Sessanta, di metodologia più incerta, come Opera Aperta (1962) e Apocalittici e integrati (1964), ma è solo con il volume La struttura assente (1968) che la semiotica diventa decisamente la disciplina che poi sosterrà e insegnerà tutta la vita. Nel 1980 pubblica il suo primo romanzo, Il nome della rosa, a cui ne seguono, a oggi, altri cinque, tutti di grande successo.
Il percorso di Eco tocca tangenzialmente ma con grande esito la storia del fumetto italiano, soprattutto negli anni tra il 1963 e il 1965, quando si trova a presentare la prima apparizione editoriale in Italia dei Peanuts di Charles M. Schulz (Arriva Charlie Brown, 1963); quando finisce al centro della polemica dell’establishment culturale italiano per le tesi sostenute in Apocalittici e integrati; e quando compare, insieme con Oreste Del Buono ed Elio Vittorini, nell’intervento di apertura del mensile Linus, nel 1965. Da quel momento in poi, Eco si dimostrerà sempre un attento lettore e un difensore della causa del fumetto, tornando molte volte sul tema, anche se non sarà più in prima linea.
“Non è vero che i fumetti siano un innocuo divertimento che, fatto per i bambini, anche gli adulti possano apprezzare dopo pranzo, seduti in poltrona, per consumare le loro quattro evasioni senza danno e senza acquisti”: un’affermazione di questo genere cade come un sasso, nel 1963, nel tranquillo stagno della considerazione del fumetto come prodotto per l’infanzia, in cui la cultura italiana era adagiata pressoché da sempre. Dopo queste parole, Eco mostra come il fumetto abbia un ruolo tutt’altro che collaterale nell’industria culturale e nella costruzione del consenso, arrivando a domandarsi se, in fin dei conti, non sia “destinato a dare solo i prodotti standard di un paternalismo talora inconscio e talora programmato”. Già se si fosse fermato qui, Eco avrebbe fatto fare un bel salto al dibattito culturale sul fumetto. Ma questo è in verità solo il punto di partenza per sostenere che esistono anche fumetti di grande arguzia satirica (come quelli di Jules Feiffer) o di grande profondità poetica, come il Krazy Kat di George Herriman, o – appunto – i Peanuts, che si stanno presentando. E, di qui in avanti, ecco l’elogio della ripetizione, della poésie ininterrompue, della profondità psicologica rivelata dai bambini di Schulz, che si può godere solo attraversando, striscia dopo striscia, l’apparente immobilità della serie.
L’introduzione a Charlie Brown entrerà a far parte, l’anno dopo, del volume Apocalittici e integrati, accompagnandosi, insieme ad altri studi sulla cultura di massa, a un’indagine, in termini di sociologia della cultura, sul mito di Superman, e a un’esemplare analisi, ormai quasi semiotica, della pagina di apertura dello Steve Canyon di Milton Caniff. In un colpo solo, dunque, Eco ha impostato un ventaglio di possibilità per la critica e l’analisi del fumetto a venire: ci ha mostrato come si possano studiare i meccanismi costruttivi, le strategie, la creazione di sistemi di aspettative e la loro gestione, allo scopo di ottenere un prodotto coinvolgente; ha problematizzato filosoficamente la costruzione analizzata ponendola al centro del problema dello strutturalismo, ovvero l’oggettività della struttura contrapposta alla soggettività degli schemi del consumo; ha mostrato come in questi termini si possano valutare ideologicamente i più importanti prodotti del fumetto americano, mettendo allo scoperto l’aperto ideologismo della Little Orphan Annie di Harold Gray, l’ambiguità critica del Li’l Abner di Al Capp, l’intellettualismo squisito del Pogo di Walt Kelly, la potenza grezza (e pericolosa) del mito di Superman, e la poesia di Krazy Kat e dei Peanuts. Lo studio di Eco avrà presto ampia risonanza in America Latina e, qualche anno più avanti, anche in Francia e negli Stati Uniti.
Il dibattito, ovviamente più leggero, con Vittorini e Del Buono che aprirà l’anno dopo l’epopea di Linus, risentirà di tutto questo, impostando comunque la linea per una futura critica fumettistica, ideologicamente impegnata, senza dubbio, come era d’obbligo in quegli anni, ma anche finalmente attenta alla possibilità di un apprezzamento, di un godimento. Apprezzamenti e godimenti critici, certo, non nostalgici o ingenui, come Eco si troverà a sottolineare in seguito più volte negli anni successivi, non mancando mai di ricordare quanto il lavoro del critico si debba distinguere da quello dell’appassionato – per il quale, in fin dei conti, può essere bello tutto quello che gli ricorda la sua infanzia. Una cosa sarà analizzare acutamente Steve Canyon, in un saggio critico; un’altra sarà rimemoreggiare misteriose fiamme della Regina Loana, nelle pagine di un romanzo. Due atteggiamenti ugualmente legittimi, ma che non devono essere confusi: una testimonianza preziosa che, con lucida coerenza, Eco ha saputo tradurre in pratica concreta.
Daniele Barbieri
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