FUMETTO! 150 ANNI  9 Ottobre 2015

I protagonisti: Elio Vittorini

“Vittorini sapeva che si può riflettere sull’uomo sia in endecasillabi sia in strisce.” Umberto Eco

Il secondo conflitto mondiale è terminato da pochi mesi quando (il 29 settembre 1945) nelle edicole appare un nuovo settimanale (poi mensile), Il Politecnico. Quattro pagine di grande formato, che volutamente si richiamano all’omonima testata guidata da Carlo Cattaneo a metà dell’Ottocento.

Con vistoso risalto tipografico, il foglio si dichiara “Rivista di cultura contemporanea”, intendendo considerare le arti dell’immaginazione come un bisogno che scaturisce nella società non meno imperioso di quello della sussistenza.

Edita da Giulio Einaudi e diretta dallo scrittore Elio Vittorini (che all’epoca aveva già pubblicato Conversazione in Sicilia e Uomini e no, entrambi per i tipi di Bompiani), la rivista si ispira nelle scelte a criteri interdisciplinari, enciclopedici, pedagogici; risulta pertanto evidente la volontà di Vittorini a non stabilire steccati tra le diverse conoscenze. Anzi, il proposito è proprio quello di saldare la secolare frattura esistente tra sapere umanistico e sapere scientifico. E il taglio innovativo della pubblicazione lo si avverte considerando sia la varietà degli argomenti affrontati, sia la insolita impostazione grafica delle pagine e l’uso di un doppio colore nella stampa: nero e rosso.

L’idea progettuale è di Albe Steiner, il quale, non assegnando alla fotografia una funzione puramente illustrativa, la considera ulteriore elemento di racconto e, più ancora, di sostanziale integrazione al testo a cui si accompagna. Convalidata dal sostegno di Vittorini, intellettuale che nutre una decisa e consapevole apertura verso le esperienze di nuovi linguaggi, quella di Steiner è una scelta che, per altro verso, allude graficamente alla forma sequenziale del fumetto: un campo indagato già nel secondo numero della rivista, con un intervento di Giuseppe Trevisani.

Le difficoltà economiche del dopoguerra, comuni per editore e lettori, non consentono però lunga vita al Politecnico, costretto a rinunciare ai propri programmi di politica culturale nel dicembre 1947, dopo trentanove uscite. La limitata esistenza non impedisce comunque alla testata di riprendere i contatti con la cultura mondiale, interrotti dal fascismo e dalla guerra, attraverso un approccio rigenerante, orgogliosamente pionieristico, che include pure la nona arte.

Stendendo una breve storia “di un’arte per i pigri”, Trevisani non mostra certo indulgenza nel sottolineare il gusto ingenuo del pubblico americano, la nefasta influenza esercitata sull’opinione pubblica da un tycoon dell’editoria quale W.R. Hearst, evidenziando altresì come la frenesia per “le comics” (al femminile) uguagli negli Stati Uniti la mania per il cinema. Per concludere che “non il genere in sé rappresenta il male”, ma nocive risultano le “cattive” comics, mentre “quando il disegnatore riesce a creare un mondo poetico, egli fa opera degna”.

A testimoniare che si può raccontare, e bene, anche con i fumetti, vengono citati Arcibaldo, Fortunello, Mio Mao, Topolino, Braccio di Ferro. Ed è proprio questo ultimo, con la sua vispa moralità, a presentarsi con alcune strisce sulle pagine del Politecnico (n. 31/32). A breve (n. 37), confermando l’isolata posizione di Vittorini nei confronti dei comics, lo seguono le surreali tavole – all’epoca inedite – di Barnaby e il signor O’Malley di Crockett Johnson. Segnali indubitabili di una convinta apertura verso un linguaggio sino all’epoca del tutto esiliato in Italia dalla cultura accademica come da quella pedagogica.

"Fa della ricerca e della sperimentazione
un suo punto di forza."

Di questo notevole e certo inatteso salto di qualità intellettuale è protagonista assoluto Elio Vittorini, sostenitore di un profondo rinnovamento della cultura nazionale, ma, allo stesso tempo, oltremodo sensibile alle voci sollecitanti della letteratura americana, nonché ai fenomeni di massa emergenti in quella società. Ne è prova la preziosa cura da lui dedicata a Americana. Raccolta di narratori (1941), antologia subito censurata dai funzionari fascisti e riapparsa l’anno seguente privata delle sue note critiche. D’altro canto lo scrittore siciliano ha sempre fatto della ricerca e della sperimentazione un suo punto di forza, e l’attività svolta come consulente editoriale per l’Einaudi (dove peraltro ha diretto l’innovativa collana I Gettoni, tenendo a battesimo scrittori italiani allora pressoché emergenti come Calvino, Fenoglio, Cassola, Lalla Romano e molti altri) non fa che dimostrarlo.

Tornando ai fumetti e al Politecnico, è da evidenziare un fatto, marginale se inserito nella globalità dei materiali proposti dalla rivista, però indicativo. Nel numero 35 alcune strisce contribuiscono a evidenziare maggiormente, visivamente, certi concetti-base, strutturali, del romanzo nero. Le firma lo stesso autore del saggio, Oreste Del Buono, fumettista per l’occasione. Valgono quale riprova della fiducia riposta da Vittorini nei comics come forma di comunicazione altra rispetto al passato, in sintonia con il suo “progetto di un nuovo umanesimo.

Claudio Bertieri



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