EDICOLA & DINTORNI  22 Maggio 2018

1946: la voce dell'America

Newsweek, L’Italia e i fumetti a stelle e strisce

Roma anno uno. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con mezza Italia tra le macerie dei bombardamenti e l’altra mezza che cerca di ripartire, la presenza americana in molti settori è quella di un nume tutelare all’ombra del quale ricostruire.

1946: la voce dell'America

A Roma nel 1946, in via del Tritone 125, non lontano dal Ministero della Difesa, si affacciano gli uffici della Weekly Publication Inc di New York. È l’editore di Newsweek, il magazine settimanale di notizie più letto negli Stati Uniti insieme a Time. L’edizione Newsweek Continental è stampata proprio a Roma e viene distribuita in Italia, Grecia, Africa, Egitto e negli Stati Balcanici. La lingua è quella inglese e, almeno fino al giugno 1946, il prezzo è espresso in centesimi di dollaro. In seguito Newsweek verrà venduto in lire: all’inizio 25, poi 40 a copia.


A cosa serve un’edizione continentale di Newsweek? Innanzitutto è una fonte di informazione primaria per i numerosi americani che vivono o lavorano in Italia - nell’esercito o in altre amministrazioni - e per gli uomini d’affari che si affacciano al nostro Paese per inaugurare nuovi business o rinnovare quelli prebellici. Una chiara pagina di pubblicità esprime gli intenti editoriali e la platea a cui la testata si rivolge: “Il mondo non dimenticherà facilmente il tempo in cui le notizie d’oltreoceano erano verboten (“proibite” in lingua tedesca n.d.r.) per un intero continente […] Gente intelligente di ogni dove, indaffarata con i problemi post bellici, riconosce il bisogno di una completa e ponderata presentazione delle notizie […] Ogni uscita di Newsweek vi porta gli eventi importanti della settimana da fonti internazionali […] scritte con una prospettiva accurata, collegata agli sviluppi precedenti e valutata per l’importanza futura”. Non a caso lo strillo sotto la testata è “Il giornale delle notizie significative.

A sfogliare qualche numero a caso dell’anno 1946 si ottiene, dunque, un’idea delle vicende mondiali dal punto di vista degli Stati Uniti, in un momento in cui sta per calare in Europa la Cortina di ferro ed è già iniziata la logica della divisione geopolitica in due blocchi contrapposti: Alleati da una parte e Unione Sovietica e paesi satelliti dall’altra. La parte più interessante per noi è, ovviamente, quella relativa al fumetto e alle cose di casa nostra. Eccone una carrellata.

Maggio 1946. A Parigi, dove si svolgono i lavori preparatori della conferenza di Pace che si aprirà il 29 luglio, tiene banco la questione di Trieste. L’importante porto adriatico è conteso tra gli Alleati, che vorrebbero che rimanesse saldamente in mani italiane, e i sovietici, che vorrebbero il controllo dello sbocco per i commerci mediterranei da e verso Austria, Yugoslavia, Cecoslovacchia e Ungheria. Al di là della questione economica, Trieste diventa un simbolo: lasciarla in mani russe vorrebbe dire dare un segno di debolezza da parte del blocco occidentale e permettere al comunismo di guadagnare posizioni in Italia. Alla fine verrà creato il Territorio Libero di Trieste, diviso in due zone d’amministrazione. La Zona A, comprendente la città di Trieste, passerà all’Italia nel 1954. La Zona B, che include l’Istria, andrà alla Yugoslavia. Un trattato firmato a Osimo rende giuridicamente definitivo lo stato dei confini tra Italia e Yugoslavia solo nel 1975.
Intanto Re Vittorio Emanuele III, a 76 anni, ha abdicato in favore del figlio Umberto II nella speranza di salvare la monarchia. Umberto ha assunto il titolo reale ma le forze politiche gli hanno impedito di utilizzare la formula “per grazia di Dio e volontà del popolo” in vista del referendum, che si terrà il 2 giugno e nel quale gli italiani dovranno scegliere tra monarchia e repubblica. I comunisti lo definiscono sarcasticamente “Il re di maggio”. Newsweek da parte sua non manca di sottolineare che Vittorio Emanuele III, accompagnato dalla regina Elena del Montenegro - più alta di 20 centimetri rispetto al suo metro e sessanta scarso -, è salpato per un esilio dorato in Egitto dove è custodito il suo patrimonio personale, valutato attorno ai 20 milioni di dollari, investito per lo più nell’impero britannico. Intanto i primi turisti americani di Roma possono consolarsi del fatto che i negozi sono di nuovo pieni di ogni ben di Dio, anche se i prezzi sono impossibili per “l’uomo medio”. Una buona cena “con Chianti” costa tra gli 8 e 15 dollari.

Tra i primi italiani espatriati a rimettere piede in patria si avvista Primo Carnera, ex campione dei pesi massimi, impegnato nella distribuzione degli approvvigionamenti del piano Marshall a Sequals, suo paese d’origine in Friuli; ma soprattutto torna Arturo Toscanini. Il leggendario direttore, sotto contratto con la NBC Symphony Orchestra di New York, aveva giurato che non avrebbe mai rimesso piede in Italia finché ci fossero stati i Savoia. Poi però non resiste all’appello della Scala di Milano che, per finanziare la ricostruzione post bellica, lo chiama a dirigere il concerto di riapertura proprio nella primavera 1946. Si sarebbe voluto mettere in scena un’opera ma i danni provocati dal bombardamento inglese del 1943 avevano distrutto tutto il teatro, compreso palco e scenografie. I 60 milioni di lire spesi fino a quel momento avevano permesso un ripristino solo parziale e, dunque, ci si deve accontentare dell’allestimento di un concerto con un programma di arie operistiche di Rossini, Verdi, Puccini e Boito. Per le migliaia di persone accorse per sentire il maestro, che non trovano posto nel teatro, vengono allestiti degli altoparlanti in piazza del Duomo. Immaginiamo una serata magica e un po’ surreale.

Giugno 1946. Il giorno 13, alle quattro del pomeriggio, un corteo di tre automobili raggiunge la pista di decollo dell’aeroporto di Ciampino controllato dagli americani. Da una di queste scende un uomo alto, elegantemente vestito ma stanco e pallido in viso. È l’ex-re Umberto II che si appresta a salire sul quadrimotore Savoia Marchetti che lo porterà in esilio, come suo padre. Destinazione Lisbona, in Portogallo. La monarchia ha perso il referendum del 2 giugno e l’Italia sarà repubblicana. Lacrime tra i fedelissimi della casa reale. Un gruppo di lavoratori grida “Viva il re!” e gli bacia le mani. Poi rimane solo il tempo per un ultimo saluto dalla scaletta dell’aereo.

Ottobre 1946. Interessante notizia sui fumetti. Milton Caniff, creatore di Terry e i Pirati, che viene pubblicato su 250 quotidiani, lascia il personaggio che aveva iniziato il 22 ottobre 1934 sul “Chicago Tribune”. Firmerà l’ultima striscia il 29 dicembre e, l’anno successivo, darà vita a una nuova serie già opzionata da 200 giornali: Steve Canyon. Il successore di Caniff per Terry e i Pirati è George Wunder, un newyorkese di 34 anni praticamente esordiente nel campo del fumetto. Fino a quel momento si era occupato di infografiche per la Associated Press. Grande conoscitore e ammiratore di Caniff, si candida alle selezioni e viene scelto tra 100 aspiranti al posto. Dopo aver frequentato un seminario di tre mesi presso lo stesso Caniff, per affinare il disegno dei personaggi, Wunder firma la sua prima striscia il 30 dicembre 1946. La porterà avanti per 26 anni, fino al 1973.

Novembre 1946. Il fumetto merita rilievo anche quando non si tratta direttamente di serie o disegnatori. Per esempio, un’inchiesta sui problemi logistici del trasporto aereo è introdotta da una sequenza a fumetti tratta dalla striscia di Joe Palooka, campione di boxe dei pesi massimi, disegnata da Ham Fisher. Vi si vede la fidanzata di Joe, Anna Howe, che sta per ricongiungersi al suo amato dopo anni di separazione. Purtroppo il volo di linea che ha preso subisce un incidente. Un motore prende fuoco e il velivolo precipita. Curioso il fatto che il redattore, per non mettere in ansia i fan della striscia, si senta in dovere di stilare una nota a piede di pagina nella quale specifica: “Tranquilli! È finito tutto bene. Ann Howe è salva, anche se non possiamo svelarvi gli sviluppi della vicenda”.
Insomma, Newsweek mostra l’occhio benevolo – e un po’ paternalista - dell’America sull’Europa e sull’Italia, ma immaginiamo venga ricambiato dallo sguardo curioso degli italiani sull’America che dopo vent’anni di dittatura hanno un Nuovo Mondo tutto da scoprire o riscoprire.


In quegli stessi anni, uno strumento importante per la diffusione del fumetto americano nel nostro Paese è rappresentato da due giornali: Jeep Comics e Overseas Comics. Entrambe le testate non erano destinate alla vendita ma venivano distribuite gratuitamente alle forze armate in Europa a cura della Divisione dei Servizi Speciali dell’esercito americano. Due erano i centri organizzativi e di stampa: uno a Parigi e un altro proprio a Roma. I colorati fascicoli, realizzati su carta da quotidiano, contenevano raccolte di tavole domenicali messe a disposizione dai vari syndicate. Vi compaiono in copertina serie come Bringing Up Father di George McManus, o Flash Gordon di Alex Raymond, che gli italiani avevano potuto apprezzare già da prima della guerra; ma ci sono anche personaggi per noi nuovi, come Dick Tracy di Chester Gould, o appena pubblicati, come Rip Kirby (1946) di Alex Raymond. Questo materiale inizia a circolare anche negli ambienti universitari e stimola una ripresa dell’attività editoriale volta, almeno in un primo tempo, a riallacciare il filo della pubblicazione dei “classici” americani, interrotto dall’autarchia culturale fascista.

Già il 6 agosto 1944, appena due mesi dopo la liberazione di Roma, il tipografo romano Fausto Capriotti manda in edicola il settimanale L’Avventura, ideale continuazione dell’esperienza anteguerra dell’Avventuroso di Mario Nerbini. Vi sono pubblicati classici come Flash Gordon (Gordon l’Intrepido), King of the Royal Mounted (Audax), Tim Tyler’s Luck (Cino e Franco), Mandrake the Magician (Mandrake), Jungle Jim (Jim della giungla), Brick Bradford (Marco Spada), The Phantom (L’Uomo Mascherato). In questo momento di grande fermento per il fumetto nella capitale prende vita, sempre per iniziativa di Capriotti, anche la testata “gemella” Giramondo (agosto 1944). A questo foglio “di racconti, di avventure, di viaggi” lavora un gruppo di sceneggiatori come Gastone Martini, Sandro Cassone e Alberto Guerri; tra i molti disegnatori ci sono Mario Guerri (fratello di Alberto), Gaspare De Fiore, Renato Polese, Osvaldo Grassetti e Vittorio Cossio. Quest’ultimo insieme ad Alberto Guerri firma le avventure di Raff Pugno D’acciaio che diventa presto il personaggio di copertina.

In teoria una marcia in più dovrebbe avercela Robinson (22 aprile 1945), pubblicato dalla Società Editrice Settimanali Illustrati che presenta classici come il Tarzan di Hogart e Rubimor o Prince Valiant (Il Principe Valentino) di Harold Foster, ma anche personaggi inediti o ancora poco conosciuti in Italia. Tra questi - oltre ai già citati Dick Tracy e Rip Kirby - ci sono Li’l Abner di Al Capp, Abbie and Slats (Ritorno dal Pacifico) di Raeburn Van Buren, Secret Agent X9 (Agente Segreto X9) nella versione di Mel Graff, Judge Wright (Il Giudice Morris) di Bob Brent e Terry and the Pirates (Terry e i Pirati) di Milton Caniff. Quest’ultima serie è quasi inedita in Italia, eccezion fatta per una breve pubblicazione su La Risata (Moderna, 1935) e sull’Avventuroso (Nerbini, 1938).
Purtroppo, nonostante questi sforzi di rinnovamento con forti iniezioni di comics americani, la formula del giornale a fumetti sembra non incontrare più il favore del pubblico del dopoguerra. Paradossalmente quella parte di lettori che ha lo sguardo rivolto al passato, se proprio deve acquistare un giornale, preferisce comprare L’Avventura di Capriotti, per cui Robinson chiude mestamente i battenti nella primavera del 1947, dopo due soli anni di vita. L’Avventura gli sopravvive poco più a lungo: fino al 1949. Il futuro sarà delle strisce, un formato con il quale l’Italia negli anni Cinquanta tornerà ad avere molto da dire nel fumetto. A cominciare da Tex Willer.


Cristiano Zacchino



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